10 ott 2009

Cosimo Argentina


Beata Ignoranza
Fandango
Lo scrittore Cosimo Argentina, romanziere tarantino trapiantato in Brianza, insegnante precario di diritto da molti anni, è autore di un breve pamphlet sulla scuola uscito per i tascabili Fandango nel 2008. Ha lavorato dappertutto Argentina, scuole private comprese. Ne sa abbastanza, insomma. E ne ha anche abbastanza, si capisce. Per esempio di sentir parlare di scuola da incompetenti assoluti, e/o da prestanome agli ordini del Ministero del Tesoro, dal quale, come molti italiani non sanno, effettivamente gli insegnanti dipendono. Tanto che, visto lo stato dell’arte, il dicastero della Pubblica Istruzione lo si potrebbe pure smantellare e cavarci un estemporaneo risparmio una tantum che ad Argentina, a chi scrive e forse anche a chi legge, farebbe comodo (ogni riferimento alle esoteriche, ineffabili competenze della signora Gelmini è dovuto).
Il libretto è diviso in una quindicina di brevissimi capitoli; si passa dalla tragicomica questione della precarietà alla famigerata faccenda della meritocrazia, dalla stanchezza dei colleghi alla supponenza analfabeta dei genitori – se in Italia comanda chi comanda e ci chiediamo ancora perché, si osservino attentamente, questi genitori: “i genitori dei geni incompresi”, “i genitori abbagliati” (dal paranoico pregiudizio che i prof ce l’avrebbero con i loro pargoletti), quelli disperati “che non sanno più che fare”, quelli che vanno ai consigli di classe solo per sapere come vanno i loro figli, quelli violenti, quelli supplicanti etc.
I motivi per arrabbiarsi sono tanti e, per chi fa questo mestiere, tutti noti, ma Argentina si fa leggere per la verve sagace e l’acutezza divertita che agilmente ritmano la sua prosa. Si diceva una volta: è come sparare sulla croce rossa, se ad esempio si fa del sarcasmo sui collegi docenti, ma resta il fatto che continuiamo ad accettare questo rito per lo più svuotato di senso quando è ridotto, e ben lo racconta Argentina, a scazzi grotteschi sulle ‘funzioni obiettivo’ (si chiamano ancora così?), interminabili schermaglie dialettiche concernenti i criteri con cui stabilire i criteri per decidere i criteri… i sonni degli inguattati, gli sms non più di nascosto alle babysitter, i pistolotti dei retori innamorati della propria voce…
Nel cahier de doléances di Argentina (ma ripeto, con ammirevole sens of humor, considerato che vive tutto sulla propria pelle) la parte più consistente è dedicata al precariato. Dai ricatti che anch’io ho raccontato altrove dei gestori delle scuole private ( - Tu mi lavori gratis in cambio del punteggio), agli stipendi da fame (che riguardano tutti ma con l’aggravante per chi il 30 giugno viene rimandato a casa di sentirsi sempre come sul Titanic mentre sulla riva  si confezionano agevolazioni fiscali per mantenere Mourinho), al disagio di contare ancor meno dei colleghi in quella stupida guerra fra poveri che insegnanti non sempre all’altezza (etica, intellettuale) del compito conducono in sordina mentre la nave affonda. Magari qualche pagina in più la si sarebbe potuta dedicare alla brillante intelligenza dei dirigenti, figurarsi, eccitati prima dalla prospettiva di finire nell’olimpo delle alte magistrature di questo farsesco paese, poi scornati dal ridimensionamento provocato dalla cronica mancanza di danaro (peraltro, chissà quante persone in Italia sanno che molti dirigenti scolastici non sono stati insegnanti strepitosi, soprattutto perché alla cultura hanno preferito l’intrallazzo utile a fare il salto di qualità al momento giusto – e nemmeno tutto ‘sto gran guadagno, economicamente parlando). Molti di noi invece non si sorprenderanno di scoprire che anche per Argentina, alla fine della storia, la scuola resta un luogo che può regalare momenti irripetibili, di bellezza autentica. E per quanto antico e demodè possa suonare, alla fine lì torniamo: “irrobustire la mente, crearsi uno stile, scoprire attitudini, abituare al sacrificio (…) tutto per loro, sono loro, la dolce marmaglia, il pane quotidiano”: la scuola, ecco quanto – si provino a sostituirla con qualcos’altro.   




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