7 gen 2010

Cimento del tempo libero


Cimento del tempo libero


(qui le prime pagine di un lungo racconto uscito nel num.6 di "tabula rasa", rivista della besa editrice

Quattro del pomeriggio. 
Matteo è steso sul divano, il giornale sulla grossa pancia, gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. 
Incisi dalle persiane, affilati fasci di luce fendono la stanza e s'insinuano fra le palpebre, come liquide opalescenze, filamenti mobili che gli ondeggiano negli occhi immergendolo in una nuvola di vetro. Sta sognando - fatine gentili e colorate che con le dita gli fanno vieni vieni. 
Sogna di staccarsi da sé e non sentirne più il peso.


Prima di perdere il lavoro, la lavatrice l'aveva usata pochissimo. La lavanderia a monoprezzo sotto casa favoriva l'ozio per cui una vita vale la pena di essere vissuta. Un ozio fatto di libri, non di nulla. Il nulla era troppo anche per lui, a meno che non avesse deciso di fantasticare un'oretta su una vita migliore.
Quando la sirena dell'ambulanza si fa assordante, Matteo si alza e caracolla verso il balcone. Pesano quei rotoli sui fianchi. Di sotto, la macchina parcheggiata in seconda fila finalmente si sposta e l'ambulanza sgomma via nervosa. Lui apre l'oblò della lavatrice e tira fuori i panni - se li rigira fra le mani e impreca. Uno straccio per la cucina bucherellato, un pigiama che ha cambiato colore, un paio di jeans rinsecchiti. Uno scherzo del cazzo, come se quella macchina infernale avesse voluto succhiarne l'anima per restituirne soltanto la fibra grezza. 
Si alza soffiando uno sbuffo d'aria pesante. Sfrigola ancora nella testa il vapore del sogno, la mente chiusa in un campo magnetico di attrazioni neuronali sbarrato come una proprietà privata decisa a difendersi dall'esterno. 
La lavatrice era vecchia, incrostata di calcare - regalo di addio di una ex vicina di casa, una donna più anziana e più grassa di lui, dallo sguardo un po' torbido, velato.
Più che altro un ingombro, la lavatrice, per tutti e due.
        
O forse no. 
Forse lei lo considerò un omaggio a uno strambo quarto d'ora cui Matteo si era lasciato andare perché ci sono momenti in cui se ti ficchi dentro una situazione sgradevole è solo per uscirne il prima possibile. 
Il marito era impegnato a Chianciano Terme in un tour di riabilitazioni. - Fegato reni polmoni! Sa, non gli regge più niente, ormai! 
- Capisco.
- Senta - lo aveva fermato per le scale - per quella cosa… sempre se non le reca troppo disturbo, s’intende.
- No, s’immagini – si affrettò a raggiungere il portone. Quella donna lo aveva sempre messo un po' a disagio. 
- Magari passerei questa sera…
Matteo udì solo parte della frase. Sperò tutto il giorno che non si facesse viva. Quella sera c’era il film. Quando bussarono alla porta, poco dopo le nove, non aveva ancora fatto in tempo a credersi De Niro. Imprecò, si concesse qualche secondo per allestire una faccia presentabile e andò ad aprire. Ci fu un momento di imbarazzo delle due pance sulla soglia, poi la donna ebbe uno scatto deciso e fu dentro. Dietro il velo molle degli occhi Matteo intuì la domestica determinazione di chi fra quattro pareti detta legge.
- Vuole qualcosa da bere?
- Non vorrei disturbare – disse lei sedendosi sul divano. - Oh i libri… - sospirò. - Non trova?
- Prego?
- Voglio dire… cosa c’è di meglio di un buon libro? 
Matteo vide la faccia incarognita di De Niro. Non aveva niente in comune con la sua. – Già – disse.
- Peccato che il tempo è poco, e poi mio marito non è mica... Oh be', lasciamo perdere - la donna si era presentata con una camiciola d’organza semitrasparente e discretamente slacciata sul davanti. Si guardò intorno compiaciuta. Gli chiese se quei libri li aveva letti tutti, se una vita sola fosse sufficiente  per farlo.
 - Temo di no - Matteo si sedette e accennò un sorriso. Le versò il Porto. 
- Possiamo darci del tu? - lo incalzò. 
- Credo di sì. 
- Non ne avevo mai visti tanti insieme. Sei un collezionista? 
- Insomma 
- Ho detto una stupidaggine, come al solito. 
- Si figuri - non se la sarebbe cavata in dieci minuti. 
- Certo non un semplice commesso di libreria, ci scommetto.   
- E’ il mio lavoro - balbettò lui. Non era mai riuscito a vedere quel film. Un De Niro in forma strepitosa. Gigione, ma grande.
- Deve essere stata un'avventura ammucchiare questa fortuna... - la donna intonò un accento vagamente malizioso, gli suonò così all'orecchio, una specie di affrettata affettuosità incapace di nascondere l'intenzione insinuante. Ma il guaio di Matteo era la sua faccia gentile  - sorrise, un po’ a cazzo. Vide la donna scorrere con l’indice i dorsi dei volumi come se questo l’aiutasse a leggere meglio titoli e nomi degli autori. 
- Pensa che mio marito mi aveva quasi convinta con i suoi sospetti.
- Cosa? – Matteo si alzò, ma non sapendo bene dove andare fece un giro su se stesso e si risedette. Data la mole, non fu una faccenda rapidissima.
- Che tu non gliela contavi giusta, insomma. 
- E perché? 
- Sai come sono gli anziani. Si fissano -. La signora Viviana - come lui l'aveva sempre chiamata – prese un volume, lo sfogliò, farfugliò qualcosa, lo rimise al suo posto, ne prese un altro. C'era qualcosa di inquietante in quell' entusiasmo. Neanche i denti un po' ingialliti riuscivano a mortificarlo. Lui che era una persona colta, sapeva spiegarglielo perché aveva sognato di trovarsi assieme al marito in una specie di tubo metallico, o meglio in un affare come la macchina per la tac, ma più lungo, e più stretto, come un cunicolo di plexiglas ecco, e l'aveva colpito più volte con un coltello da macellaio che le aveva regalato la suocera per il matrimonio trent'anni fa? Lui che era un lettore professionista, sapeva dargliela una spiegazione?
Matteo gonfiò le guance in un sorriso eccessivamente premuroso che gliele stava incatramando.- Be', davvero non saprei cosa dire - ingoiò una polla di saliva e cominciò a sudare. Matteo sudava con una certa facilità, non appena la vita lo costringeva a un impegno imprevisto. Escluse di rimanere in canottiera e per tutta la serata anfanò nel tentativo di mostrarsi moderatamente garbato, ma poco dopo mezzanotte si lasciò accostare fino a quando la vena d'aria rancida che esalava dalla boccuccia della donna si mescolò al suo sospiro di maschio perplesso e concitato e per alcuni raccapriccianti minuti diventarono una cosa sola.
Cape Fear era destinato a restare un mistero, per lui.



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