7 mar 2010

Maurizio Salabelle Il maestro Atomi





A scuola senza fare troppo le vittime

Chissà se è mai capitato a qualche studente italiano di fare una gita scolastica in Giappone, per di più in compagnia non del suo insegnante ma di un ispettore scolastico inviato dal ministero. Per poi trovarsi coinvolto in una serie di situazioni assurde, come maneggiare l’indecifrabile moneta locale il cui valore deve essere descritto attraverso smorfie complicate e faticosi sospiri. Oppure di imbattersi in un bizzarro supplente che si porta a scuola una pentola d’acciaio munita di una struttura metallica collegata alla presa di corrente per dimostrare come dal “brodo primordiale dell’ammasso di molecole disordinate ad un certo punto venne fuori la vita”.
Il passo narrativo di Maurizio Salabelle, scrittore prematuramente scomparso nel 2003, sembra sulle prime un po’ surreale, come la scuola che racconta, un istituto elementare con classi di 39 persone che cercano di arrivare in tempo in aula per non restare senza il posto. Eppure il suo andamento avvince perché è in grado di percorrere con vivida concretezza di fatti e personaggi un paesaggio sorprendente, tutt’altro che gratuito, nonostante o forse proprio in virtù della natura paradossale delle storie che racconta -com’è dei bravi scrittori.
Salabelle sembra andare oltre l’intuizione del carattere mai definitivo che si nasconde nel mondo della scuola, il suo negarsi sostanziale all’apparente tran tran che avvinghia i più in una morsa di noia o sfiducia o stanchezza. Anche chi vi lavora da molti anni sa che in una mattina qualunque può succedere qualcosa che non sarebbe potuta accadere da nessun’altra parte. Ne Il maestro Atomi, senza mai farne “discorso” ma sempre e solo dentro il dispiegarsi del racconto, non si tratta più di sorprese che interrompono la routine. La scuola viene reinventata totalmente, ricostruita come un affatturato e insieme ironico universo guardato attraverso gli occhi di un ragazzino, la voce narrante, davvero speciale.
Il romanzo, edito da Comix nel 1997, poi rifabbricato per i tipi Casagrande qualche anno dopo, purtroppo non è facilmente reperibile. Salabelle nella sua breve vita pubblicò anche con Garzanti e Bollati Boringhieri ma era uno scrittore che non aspirava - suppongo - ai grandi numeri. Basti pensare ai protagonisti degli altri suoi libri: un “alcolizzato da vocabolario” (in Il mio unico amico), un “assistente che non assiste” (in  Un assitente inafidabile) e via di questo passo, per cinque romanzi scritti nell’arco di un decennio.
La sua era una narrativa purissima, antiretorica, apparentemente in minore – sospesa a mio avviso fra Celati e Robert Walser - ma niente affatto dimessa, con una sua strana grazia che coniugava l’assurdo con una precisione descrittiva e soprattutto con una voce narrante molto divertente. In questo romanzo simulava la cadenza di un’oralità fintamente svagata ma di strabiliante esattezza. Un libro, fra i non pochi che nella narrativa italiana sono ambientati fra le pareti di un’aula scolastica, che resiste al tempo in virtù di una voce peculiare. Di lui scriveva Dario Voltolini: “Della sua voce un po' sommessa che non riusciva ad alterarsi alzando i toni, ma solo e sempre deviando in direzioni poco prevedibili, ci rimane ora solo il versante scritto, quella che siamo soliti chiamare «voce narrativa», come se ciascun narratore ne avesse una per dotazione naturale. Invece solo pochi narratori hanno una voce propria e riconoscibile nella pagina scritta, una voce che identifichiamo in mezzo a qualunque folla, senza possibilità di errore. Maurizio era uno di questi”.
I sei capitoli che compongono Il maestro Atomi possono leggersi in qualsiasi ordine, dando vita a 720 combinazioni possibili. Ma al di là dell’apparente eserciziario postmoderno che sarebbe ormai privo d’interesse, e detto solo per non scoraggiare coloro che dovessero avere la fortuna di trovare il libro e dare un’occhiata alla quarta di copertina, possiamo piuttosto leggerlo come un insieme di racconti. Sono storie fra il comico e il fantastico, tutte dentro una scuola senza epoca inventata per rompere disinvoltamente con una tradizione narrativa, il racconto fra le mura di un’aula scolastica, troppo spesso incline al patetico e al vittimistico.
La stravaganza che cifra il libro non è mai compiaciuta, o letteraria; è negli stessi personaggi: maestri curiosi, supplenti falotici, studenti buffi e allarmati eppure composti come piccoli Buster Keaton. La scuola insomma in questo libro disegna una specie di spazio onirico, tramato in un tessuto di situazioni fantasiose ma serrate nella loro logica alternativa - una specie di ragione parallela al mondo quotidiano, freddamente emozionata, curiosa, come forse agli insegnanti piacerebbe vedere nello sguardo dei loro studenti.
Un libro, uno scrittore lontani dai volgarissimi spettacoli di oggi, che si tratti delle guerricciole per bande di scrittori televisivi, o delle fiction sciapi  innocue  scontatissime sulla scuola che solo tristissimi figuri di governo possono considerare pericolose per la democrazia (nella dizione corrente e imperitura, malfamata, di “comunisti”, va da sé).

michele lupo


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