23 dic 2010

La promessa - Friedrich Dürrenmatt.


dal paradiso

La letteratura contro se stessa. 

'La promessa – Un requiem per il romanzo giallo' 

di Friedrich Dürrenmatt.


Copertina
Il romanzo La promessa – Requiem per un romanzo giallo, del 1958, contiene un assunto chiaro e programmatico: la vita è una cosa, il romanzo giallo un’altra.
L’intreccio: è questo l’inganno che il dottor H., ex comandante della polizia cantonale di Zurigo, non sopporta nei romanzi gialli. Per dare una dimostrazione della sua tesi, secondo la quale nelle trame romanzesche “tutto accade come in un partita a scacchi, qui il delinquente, là la vittima, qui il complice, e laggiù il profittatore” e che in questo modo lo scrittore di gialli non possa che fornire una rappresentazione menzognera della realtà, bene, per offrire un esempio definitivo di quanto poco verosimile sia l’approccio del giallista, l’ex poliziotto racconta da par suo al dimesso scrittore che lo incontra casualmente in un albergo una storia in sé non eccezionale ma ricca di una superba ambientazione, di clima, di personaggi caratterizzati e pieni come ogni buon romanzo classicamente inteso pretende. Questo il paradosso de La promessa lavoro dalle tinte cupe, ossessive, con il quale Friedrich Dürrenmatt ritenne di sottarre una volta per tutte al genere le sue pretese “realistiche” senza immaginare che, piuttosto che suonare campane a morto, il libro finisse per occupare un posto – seppur nobile - fra gli altri nella storia della letteratura gialla. 
Non che – potessimo ridurre la letteratura a una questione di “ragioni” – avesse per l’appunto “torto”: sappiamo che “un fatto non può tornare come torna un conto” e che “ciò che è casuale, incalcolabile, incommensurabile ha una parte troppo grande” nella vita (delitti e indagini annesse) per dare credibilità realistica a un genere, che, anche nella versione noir (al netto di contrapposizioni spesso speciose) negli ultimi 15 anni in Italia hanno spacciato come “il solo che raccontasse la realtà blablabla”. 
Il romanzo dello scrittore svizzero riesce a sostenere una tesi condivisibilissima (quella per cui il racconto giallo credendo di imitare l’indagine poliziesca stringe la detection in un meccanismo logico perfetto e perciò inverosimile – la recensionistica ci si è molto masturbata in questi anni esibendo ammirazione sconfinata per l’abilità combinatoria, la sagacia geometrica del plot e via discorrendo), senza farsi azzerare in quanto opera di finzione – pericolo sempre in agguato con i romanzi “a tesi”. Qui invece gli strumenti finzionali del romanzo sono talmente al posto giusto da evitare un harakiri. Il mondo non è quello pensato da Hegel. Fosse stato un filosofo, l’eccellente Durrenmatt avrebbe evitato di scrivere un libro come questo; avrebbe magari scritto un libro denso di profondissimi pensieri sul caos come cifra epistemologica del tutto; fosse stato un avanguardista di quelli aggressivi, avrebbe preso una pistola per impedire a chiunque di scrivere un giallo dopo La promessa – ed egli stesso in luogo di un romanzo avrebbe pubblicato un testo di pagine bianche, con il sottotitolo che conosciamo su una copertina gialla. Essendo invece uno scrittore compreso in una solida tradizione letteraria, scrisse un giallo non poco noir (décor sinistro, atmosfera claustrofobica, poliziotti inquieti e interiormente tormentati: la promessa fatta ai genitori della bambina uccisa dall’orco più demente che cattivo di catturarlo), che funziona proprio secondo i crismi non del giallo ma della buona letteratura. Perché fra classici capri espiatori (i contadini che vogliono far fuori il presunto assassino e credono di individuarlo alla svelta), considerazioni ovvie sulle difficoltà nelle indagini rivolte ai delitti sessuali (perché il movente tanto enigmatico quanto ovvio in questi casi non risparmia nessuno), false piste e poliziotti testardi fuori dalle regole che vanno avanti per conto loro, fin qui e oltre poteva non sembrare un’opera da conservare in biblioteca; ma per virtù stilistica, lo scrittore riesce a far raccontare una storia che cattura il lettore e insieme lo persuade, nonostante l’assunto della realtà spuria, casuale, imprevedibile (nonché spesso “ridicola e idiota”). Pertanto, il narratore infila una serie di “esercizi di stile” che, mutatis mutandis, sono quelli che il suo protagonista denunzia come mendaci nei romanzi gialli. La descrizione vivida che ci lascia del microcosmo delle foreste svizzere e del mondo che le abita (l’ostinazione cieca degli uomini, la rara pietà per i poveri cristi, l’immagine dei bambini rapiti dalla magia nefasta della fantasia, la violenza insensata, la mancanza di razionalità) vale a farne un piccolo grande classico.


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