15 mar 2011

Adrian Bravi - Il riporto - Nottetempo





“Uno non pensa mai che un giorno, quando meno se lo aspetta, gli può capitare di dover fare i conti con la propria vita, perché nessuno crede che uno spiritoso qualsiasi può metterlo a nudo davanti a una platea di studenti che si danno di gomito e se la ridono a squarciagola, come una volta è capitato a me, a lezione”.
In questo incipit c’è la storia e il compendio di questo piccolo divertissment, condotto con mano salda da Adrian Bravi, scrittore argentino di stanza a Macerata che ha ormai all’attivo diversi romanzi nella nostra lingua.
Il narratore soffre di un’alopecia androgenetica, e come gli uomini migliori della sua famiglia rifiuta i mezzucci che i calvi e i semicalvi inventano per sopperire a un handicap spesso mal tollerato. Niente parrucchini o rasature complete, dunque. I Gherarducci cercano soluzioni controcorrente, eccentriche, demodè, e il narratore li batte tutti: vuole un riporto in avanti, lui, alla Giulio Cesare. Ma una frangetta così precaria non dà garanzie, qualsiasi sia l’accorgimento con cui viene allestita: il colpo d’aria ci sta tutto. Lo spiffero. L’incidente fortuito.
Quello che sconvolge Arduino è invece altro: il gesto arrogante, inconcepibile, beffardo di un  suo studente, che davanti al gruppo di universitari che seguono le sue lezioni di “scambio dei dati bibliografici”, glielo scompiglia, il riporto, e manda a puttane una vita intera. Il suo è un corso universitario serio, non fosse che per questo non si sarebbe mai aspettato un gesto del genere (mica viene da un ragazzo iscritto a “Scienze della Comunicazione”, dice). L’acconciatura che pareva allo studioso di una sopraffina “finezza” diventa la causa di una crisi profonda che lo fa fuggire dall’università e dal resto, moglie compresa.
L’imbarazzo e poi la vera e propria umiliante vergogna che seguono al gesto efferato sono però materia di un racconto ironico, comico, per situazioni ma anche per le tonalità in uso, sottolineate come sono dallo sconcerto reiterato, dal rimuginìo che accompagna la fuga – attraverso le montagne delle Marche, piuttosto che nella Lapponia in un primo tempo vagheggiata. Ma Arduino, benché finisca per rifugiarsi in una grotta, in mezzo al bosco, e in quella solitudine sia costretto ad affrontare altri tormenti, non ci pensa minimamente ad abbandonare il suo riporto. Avrebbe altro cui pensare, insomma, se è vero che si trova a rivivere paure ancestrali, profonde, infantili; se è vero che teme addirittura l’arrivo dei cannibali di cui si favoleggia in giro. Eppure, il pensiero gli va a finire sempre lì, al riporto. Che, va da sé, è la chiave di volta di una vita – così, cogitabondo, è costretto a fare i conti con una verità amarissima: quella con la moglie era tutto tranne che una grande intesa - mai compreso la portata del suo dramma, lei, visto che il giorno delle nozze non fece una piega quando uno sboffo d’aria gli smosse la sua “finezza”.
Lasciarla, una donna così, è il minimo, ma nella grotta succede qualcosa di inaspettato – che non riveliamo, per chi avesse voglia di avventurarsi in questa lettura sfiziosa, dall’umorismo insolito, quello di un personaggio che non nasconde la sua “antipatia per il genere umano. Antipatia che non solo ho coltivato con la lettura di certi libri di storia e di certe teorie filosofiche e teosofiche, ma anche dormendo nella stessa stanza con mio fratello”.



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