20 mar 2011

su Lucio Klobas

un mio articolo pubblicato originariamente su http://www.lankelot.eu/letteratura/klobas-lucio-anni-luce.html la rivista seria e poco modaiola di Gianfranco Franchi



ANNI LUCE



Libro non facile non semplice questo di Lucio Klobas, ma di pertinace lavorìo – quello del lettore compreso. Un romanzo fitto, folto di pensieri tenaci, instancabili, dalla prosa avvolgente e scarnificata nello stesso tempo, una prosa che insegue le meditazioni del narratore e non dà tregua al lettore, chiamandolo a un ascolto continuo, paziente, laborioso – senza nessun agio spettacolare, senza colpi di scena e trucchi da quattro soldi, senza ammiccamenti, birignao e salamelecchi di nessun genere. In breve, un libro ostico per chi si è abituato in questi anni a confondere la letteratura con le classifiche di D’Orrico, i sermoni interessati dei neobarbari che vogliono farti credere d’essere all’avanguardia (detestandola) perché hanno accettato in sé l’inaccettabile e lo hanno anzi promosso non a segno positivo dei tempi ma a sua sperticata apologia: la promozione della propria inconsistenza a figura dell’Inconsistente dominante. Klobas va in cerca dell’opposto non curandosene, nonostante la nomea di scrittore sperimentale a me pare che Anni Luce badi davvero al sodo di un avvicinamento al suo oggetto attraverso un racconto piano ma inflessibile, circondandolo da ogni lato, saggiandone la consistenza, il peso, misurandone persino l’elusività non perché sia vuoto ma perché è nella natura delle cose quella di perdersi – il narratore lo sa.
Tutto tranne compiacimento, dunque; il narratore cerca in una fotografia le tracce di una storia, una storia d’amore, una storia che ha da fare con la propria, quella dei propri genitori, e non si illude di trovarle – come ha creduto forse per un momento il fotografo che ne fu artefice –, registrando con puntiglio l’inventario delle gradazioni, delle occasioni, quelle perdute e quelle che spera(va) di fissare in un senso, fors’anche in una realtà definitiva. Intorno a queste memorie di famiglia si misura un lungo periodare parentetico; il romanzo è un applicazione sulla verità di una storia che la lingua meticolosa (uno sciocco potrebbe ritenerla pedante) tampina, tormenta, senza mai arretrare. Nulla difatti riesce a placare il flusso continuo di parole e precisazioni e parentesi e ripensamenti, solo sette tappe che focalizzano l’attenzione su un motivo poi su un altro ma non smettono di fibrillare, inquiete epperò controllate, ricche di digressioni che sono però modi indispensabili per tentare di non lasciare indietro nulla, di non risparmiarsi nulla, di guardare sempre oltre i limiti laterali della traiettoria prestabilita per scorgere chissà il dettaglio rivelatore, il miracolo di un’ultima rivelazione. L’infanzia è lontana, preceduta anche dall’aurora del non-essere, il momento del matrimonio dei genitori, un momento che la fotografia vorrebbe invano fissare come una promessa di felicità eterna ma la lingua inesausta che ne scruta la luce, i volti dei protagonisti, le incertezze della posa, si apre già al movimento di quella che potrebbe essere una macchina da presa: sicché ne viene una domanda: lo spazio visivo coincide o no con la possibilità dello sguardo di comprendere la verità delle cose una volta per tutte? È la storia dei genitori l’oggetto del racconto o la fotografia che voleva riprodurla (forse salvarla dal futuro più che garantirne uno)? 
La cosa felice è questa, che il lunghissimo periodare non inficia per nulla la chiarezza del testo, anzi la sua sfida (a mio avviso stravinta) sta proprio nel mantenersi compatto pur senza smettere di tentare l’inafferrabile del tempo (della vita, del senso) che sfugge da tutte le parti – come le pretese di verità di una fotografia. Mi è venuto fatto di pensare che Klobas sia un Mozzi in chiave maggiore. Ma direi che si tratta solo di una modesta lettura preliminare – il libro meriterebbe un’indagine approfondita, lenta e paziente, di una pazienza degna di quella con cui è stato scritto.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE
Lucio KlobasAnni luce,   Effigie Milano 2010
Istriano di origine, Klobas è nato nel 1944. Vive a Bergamo. Ha pubblicato numerose opere di narrativa, alcune delle quali tradotte all'estero. "Galleria del vento" (1976); "Crudeltà mentale" (1983); "Giorni contati" (1994); "Il verme solitario" (1997); "Senza scampo" (1999); "Il tempo vola" (2000); "Passo felpato" (2002); "Mono Trilogia" (2004).


Approfondimento in rete
http://www.lankelot.eu/letteratura/klobas-lucio-giorni-contati.html 


http://www.ilcaffeillustrato.it/numero_12_artklobas.html
Michele Lupo



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