14 apr 2011

L'esordiente Raul Montanari


MONTANARI RAUL

L'ESORDIENTE


L’ambiente editoriale costituisce lo sfondo dell’ultimo romanzo  di Raul Montanari, L’esordiente, che racconta la storia di uno scrittore a lui molto somigliante, nei mesi a ridosso del più importante premio letterario italiano – o del più triste, indovinate quale. Questo scrittore deve combattere non solo con le scontate difficoltà del caso ma contro il pregiudizio mal tollerato di essere un giallista, o un noirista, ossia un genere di scrittore benvenuto dappertutto tranne che al Premio Del Dolore Esibito da ogni letterato che si rispetti per fottere più agevolmente il pubblico infiacchito delle signore sensibili e pronte a frantumarsi il cuore per qualche sera di insana lettura. All’aspirante vincitore del Premio, scrittore navigato ma incline a qualche ammazzamento di troppo, gli viene caldamente consigliato di scrivere cose che non spaventino nessuno.
Livio Aragona, il narratore-protagonista-scrittore per vincerlo il premio deve sbattersi, frequentare le feste giuste, bazzicare persone sgradevoli, persino scoparsi donne non esattamente avvenenti. Non ne sembra granché sconvolto – va detto. La società letteraria ivi descritta ne esce come un ambiente squallido assai, speculare al mignottaio servile con cui questo paese ha deciso di segnare la sua storia presente. Le presentazioni contano più dei libri, l’immagine fisica dello scrittore più della pagina scritta, i salamelecchi indispensabili.
Peraltro, il narratore de L’esordiente insegna in una scuola di scrittura, esattamente come l’autore, ciò che gli dà l’abbrivo per discettare sul suo lavoro, sulle fatiche e i piaceri dello scrivere, sulle scarse chance di una vita di coppia e di famiglia per chi è ossessionato da troppi fantasmi creativi. Molte considerazioni sulla vita, la televisione, maschi e femmine, epperò non proprio originali,– fastidia per esempio il ricorrente motivo nei dialoghi del Dostoevskij che già faceva il noir, che molti classici sarebbero noir e via di questo passo.
La vicende editorial-letterarie de L’esordiente si intrecciano con quelle di un singolare rapporto che il protagonista intrattiene con l’uomo della sua ex compagna, personaggio improbabile, ex criminale che gli chiede soldi di continuo e colpisce violentemente i suoi nemici per tenerlo in scacco. Rischia anche la studentessa che ha una relazione con Aragona, in un primo momento convintissimo che la ragazza sia totalmente priva di talento. Dovrà ricredersi perché la tipa non solo è brava ma rischia addirittura di soffiargli il Premio al fotofinish. Dovrà ammettere che l’invidia lo ha fatto vacillare, che la ragazza, sebbene lontana dalla robustezza che egli può vantare quanto a mestiere e sorveglianza sulla materia narrativa dispone però di un talento maggiore del suo.
Sul giro di frase del romanzo difficilmente puoi eccepire, la scrittura non conosce sbavature, ma nemmeno scarti espressivi mirabili. Raul Montanari sa cosa vuol dire approssimare percorsi oscuri, avvicinare sentimenti e s-ragioni nere della vita quasi senza darlo a vedere, con sarcasmo misurato e indubbia saldezza di nervi e di stile di fronte all’orrore quotidiano. Mi chiedo però se non tema per se stesso ciò che il suo alter ego dice a proposito della raggiunta maturità del suo lavoro: controllo, alto artigianato, sicurezza nell’intreccio ma anche il venir meno della forza d’urto di un tempo. Ora, non è vero che l’etichetta post-noir proposta tempo fa dallo stesso Montanari “tanto interesse e polemiche ha suscitato”, come pretende il risvolto di copertina. Essa è morta sul nascere, come giusto, perché non significa niente. Montanari lo sa bene. Ma le cosiddette ragioni di poetica, non mi stanco di ripeterlo, sono ormai quasi sempre ragioni di marketing e occasioni giornalistiche. Quindi possiamo farcene una ragione. Piuttosto, non sarà che Montanari è un bravissimo scrittore un po’ stanco?

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