3 giu 2011

Giovanni Orelli - Il sogno di Walacek


L'ho scritta su Lankelot

Giovanni Orelli, scrittore e intellettuale svizzero, nato nel 1928, è autore di diverse opere in lingua italiana e questo Il sogno di Walacek ripubblicato ora dalle eleganti edizioni romane 66THAND2ND uscì per Einaudi 1991, nella collana Nuovi Coralli. Un nome non notissimo al pubblico italiano, una vita trascorsa  a Lugano, dove ha insegnato come professore di liceo. L’esordio letterario avvenne nel 1965 con il romanzo L’anno della valanga, con prefazione di Vittorio Sereni.
Impegnato in politica nel Partito socialista autonomo appare come un intellettuale e scrittore non facilmente inquadrabile – e per fortuna, avendo chi scrive un debole per gli irregolari purché di talento – in uno schema, una categoria letteraria, fatta salva l’inclinazione per un genere di racconto centrifugo, indifferente, almeno in questo libro, alla classica triade stile-trama-personaggi in cui secondo i più si delineano in caratteri di un buon romanzo.
Non è uno scrittore per tutti, ma se al romanzo viceversa concediamo il benefit di una potenzialità ulteriore, di una forma aperta in cui il racconto può includere non tanto la digressione – che è ovvia – ma un principio di imprevedibilità buono a farne una scrittura da sperimentare in diverse direzioni, ecco che questo libro può trovare lettori inattesi. Purché curiosi, meglio colti, direi, pazienti: perché soprattutto all’inizio ci si muove con un po’ di fatica. L’affabulazione, attentissima sul piano stilistico, appare protesa a divagare, poco disposta a disciplinarsi in una trama, più speculativa che propriamente narrativa.
La storia, ammesso che sia possibile parlare di storia, volteggia e plana per poi risalire fino a un punto di vertigine intorno a un lavoro di Paul Klee, che il 19 aprile 1938 decide di dipingere servendosi di una pagina di giornale, precisamente la pagina 13 del «National Zeitung» di Basilea. Ivi si racconta la finale di Coppa di Svizzera tra il Grasshopper e il Servette del giorno precedente. Nel disegno del grande artista, uno dei massimi del secolo scorso, uno di quelli che i nazisti riterranno responsabili della famigerata arte degenerata da additare all’Europa con il massimo di severo disprezzo, compare una grande O che adombra il nome di Walacek, prestigioso giocatore del Servette che pochi mesi più tardi ai mondiali di Francia sarà artefice della vittoria degli elvetici sulla Germania. Su questo fatto (ricordiamo che nella collana Attese dell’editore lo sport è il punto di partenza), sul senso che potrebbe nascondere,  il narratore apre e conduce le danze  di un esercizio ermeneutico nel quale si confrontano personaggi inventati del tutto e figure storiche come Bertrand Russell o Arthur Schopenhauer. In un’osteria fantasmatica, essi discutono con agile e sfuggente libertà di argomenti disparati: il calcio, il nazismo, la psicoanalisi, l’arte. Aggiungono aneddoti saltando da un fatto all’altro seguendo le linee di una geometria mobile, non sempre agevole, nel quale l’acutezza degli interpreti regna sovrana, il dettato a tratti si scioglie felicemente per poi arcuarsi rapsodico e sconnesso. Come un padrone di casa raffinato e gentile che però non rinuncia minimamente ai suoi tratti originali per venirti incontro. Garbato ed eccentrico. Il testo si costruisce come un tessuto inesauribile di variazioni, a volte prolisse, estenuanti, la congettura sul caso Klee devìa da una tratta all’altra senza avvertirti, apre parentesi ed erra fra i casi dell’epoca sostando a piacimento un po’ qua un po’ là. Direi che Pindaro, più volte citato nel testo, non sembra un nome casuale.
Nel saggio aggiunto al testo, Il volo leggero dell’angelo di Rossana Dedola, viene chiamato in causa il genere musicale dello “scherzo”, apparentemente  leggero, divagante, ma non per questo frivolo: la libera associazione che permette al narratore uno “schema” di lavoro non estraneo all’epoca ivi raccontata, il “collage” – seppure non più all’ordine del giorno – è tesa a recuperare un senso alla storia di Klee e della mezzala Walacek, il cui nome viene mutilato dal tratto del pittore: in entrambi, per vie imprevedibili, è forse possibile recuperare una traccia della storia europea. Sembra un divertissment per lettori “forti”, ma è qualcosa di più.


Cerca nel blog