8 lug 2011

Occorre dirlo?


Antonio Gramsci

Odio gli indifferenti

copertina del libro
È il primo volume della collana "Instant Book" della casa editrice Chiarelettere. Odio gli indifferenti raccoglie alcuni articoli di Antonio Gramsci scritti ormai un secolo fa e contenuti per lo più nell’opera La città futura.
La forza di un titolo come questo (già sentiamo le voci mosce delle animule vagule blandule che gridano al ritorno degli anni di piombo) è ciò che è mancato in questo ultimo ventennio. Dire chiaro che il potere che stiamo subendo non lo si deve al genio inesistente di un venditore dagli affari poco chiari (si fa per dire) ma all’acquiescenza dei più, il colto e l’inclita, il primo di sicuro più responsabile ma votato alla storica cortigianeria che gli italiani hanno insegnato al mondo sebbene il secondo spesso non si sia fatto mancare nulla quanto a piacevoli oggetti di consumo – comprese vacanze in paradisi lontani dei quali non si è mai sforzato di capire alcunché – e tutto invece riguardo a uno strumentario per diventare un cittadino dignitoso (un libro, poniamo?).
Piacerebbe sperare in un radicale cambio di rotta dopo questi decenni tristissimi, e tristissimi quanto più volgare è stata l’esibizione di un’allegria cinica e imposta come un dogma (est)etico. Ma siamo in Italia.
“L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Queste le frasi ormai celebri del grande pensatore sardo. Proprio perché siamo in Italia, appaiono ancora più necessarie. Proprio perché siamo in Italia, la speranza è un atto di volontà. “Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare”, scriveva Gramsci. Che aveva colto le crepe di aspetti un secolo dopo rimasti tali e quali. “L’indifferenza che opera passivamente ma opera”. La fatalità che sembra dominare la storia non ha nulla di destinale ma è il frutto avvelenato di questo assenteismo. La mancanza di responsabilità. L’assistenza che è un diritto e non un regalo. Il rispetto delle procedure di legge e l’elogio di Ponzio Pilato, “infamato dal Cristianesimo”, e che invece era solo “un magistrato ossequiente alla legge”; che ne rivendicava l’indipendenza. Fra i suoi compiti non v’era quello di poter giudicare Gesù, le accuse al quale “non erano contemplate dalla legge romana, non erano reati di Stato”.
Poiché l’argomento mi sta a cuore, vediamo cosa scriveva sulla scuola. “I clericali parlano spesso e volentieri di libertà della scuola. Ma non si ingannino i lettori. La parola libertà acquista nelle loro bocche un significato tutto suo che non coincide affatto col concetto che della libertà possono avere gli uomini pensanti che non sono clericali. Libertà della scuola significa propriamente per i clericali libertà di essere asini col godimento di tutti i diritti che sono riconosciuti a chi ha studiato. È questa formula «Per la libertà della scuola», una bellissima bandiera che copre una lucrosissima speculazione economica e di setta.”
La dittatura mediatica non poteva tecnicamente raggiungere i risultati odierni (Mussolini si rivolta nella tomba roso dall’invidia ogni volta che gli appare una scena dell’odierna telecrazia, che si tratti del logo tg1 o quello di Canale5 e via dicendo); epperò, Gramsci già notava come “La conoscenza e l'intelletto sotto forma di pettegolezzo, di morbosa necessità di essere informati dei minimi particolari del fattaccio” fossero funzionali a una marcata dimenticanza della realtà politica.
Sulle guerre? “Le guerre moderne nascono dal bisogno di assestamenti economici migliori per certi capitalismi nazionali”. Per chi non lo avesse mail letto, è una buona occasione. L’edizione è elegante quanto basta. Veramente un libro da tenere in tasca, un memorandum anche, perché no.

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