20 ago 2011

Il Cammino parallelo

GUSTAV MAHLER, RICHARD STRAUSS


UN CARTEGGIO

Due musicisti molto diversi, Gustav Mahler, Richard Strass, un’amicizia non semplice in un momento storico complicatissimo, l’equilibrio di un carteggio che tiene per diversi anni e una storiografia che ci ha abituato a vedere nei due i poli opposti di un certo progressismo culturale e linguistico da una parte e di una totale indifferenza a un’idea lineare della storia  (indifferenza politica tradotta in una carriera artistica atipica) dall’altra.
Poi i paradigmi sono mutati. E si è giunti a una nuova “maniera” interpretativa che a forza di scompaginare le carte lascia i semplici lettori - ascoltatori disorientati. Tanto che se non lo avessimo seguito negli anni e non ne sapessimo la coraggiosa ma robusta spregiudicatezza di studioso (il suo amore per l’Operetta in tempi non facilissimi per generi così “disimpegnati”), sarebbe forte la tentazione di vedere per esempio nella rivalutazione di alcuni musicisti a opera dello storico e critico musicale Mario Bortolotto un segno del suo capriccioso e accanito desiderio di marcare un territorio un po’ stucchevole, quello del bastian contrario che fa della leggerezza inaudita  un principio di valore così martellante da diventare pesante (e ometto, perché non sarebbe questa la sede, di rilevare certe imbarazzanti prese di posizione politiche). La critica ai francofortesi (espressione un po’ ridondante quando tutti per anni hanno pensato un nome solo, quello di Adorno) ora appare un po’ stanca e risaputa a forza di “rivalutare” qualsiasi marginale intrattenitore come un genio misconosciuto solo perché l’ideologia dall’engagement ha forzato la cultura europea, compresa quella musicale, per molti decenni.
Nel caso di Richard Strauss la caratura è ovviamente diversa ma se abbiamo accennato a Bortolotto è perché si deve a lui un libro di qualche anno fa che lo inserisce a pieno titolo nel novero dei grandissimi. E ribalta il vecchio giudizio adorniano sull’autore dell’Elektra come un fanatico della Germania guglielmina, un uomo e un artista a suo agio nel proprio cattivissimo tempo, al contrario di Mahler, cui una certa consolidata storiografia attribuiva il merito di aver tracciato le linee di un linguaggio musicale che avrebbe poi portato alle avanguardie.
Insomma, sullo stesso versante musicale (l’unico che conti) il conflitto fra i due musicisti non va più visto in una dialettica conservazione-progressismo, non solo o tanto perché lo schema degli opposti non convince più gli storici ma perché in Strauss l’invenzione musicale appare più ricca e proteiforme di quanto non volesse la stessa vecchia vulgata.
Certo, l’artificio in lui la fa da padrone. Mi pare concorde il giudizio di Nicola Montenz, studioso e narratore che introduce il piccolo libro Archinto, l’epistolario fra Strauss e Mahler. Il discrimine significativo per Montenz sta nella questione, ineludibile, della morte: ombra quotidiana, assillante, e cifra “romantica” sottesa all’opera in Mahler, insorgenza ambigua e paradossalmente vitalissima in Strass, teatralmente proteso a farne una danza orgiastica in un tentativo virulento di congiungerla all’eros dionisiaco.
Mondi comunque lontani, di sicuro più tormentato quello mahleriano, più tronfio e spettacolare quello di Strauss, più rigoroso anche per i contesti a margine della musica il primo, più egotico e roboante il secondo, sensibilissimo alle ragioni del portafoglio: se questo è pacifico, più interessante diventa guardare dentro l’effettiva comunicazione fra i due. Il carteggio coinvolge aspetti musicali diversi, dalle considerazioni su questo o quel musicista, questo o quel cantante, questo o quel lavoro da mandare in scena. I due sono attenti e consapevoli delle loro differenze, rispettosi, schietti nei giudizi ma di solito misurati; riservano appellativi più coloriti agli altri e non smettono di manifestarsi stima reciproca. Di Mahler si dice che in realtà non sapesse bene come intenderlo, Strauss. Molte testimonianze non sembrano garantire una stima incondizionata. Nel complesso, il mondo di Strauss gli era estraneo, ma era un uomo che onestamente riconosceva il genio musicale se e quando lo incontrava. Il che significa anche che gli perdonava la prosa facilmente incline a concludersi in un punto esclamativo. A perdonargli di essere Strass, insomma, uno che non poteva racchiudere in un giudizio definitivo, pacifico. Mahler non era fatto per la pace, quella interiore s’intende. L’altro, semplicemente, si faceva meno problemi. Amen.


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