29 ago 2011

Sherwood Anderson


Il romanzo perduto

Mattioli 1885

copertina del libro
Il volumetto che Mattioli 1885 ha fabbricato con le cinque piccole prose dello scrittore americano Sherwood Anderson e la cura di Cecilia Mutti è un vero affare - un ottimo affare. Per i più pigri: consta di settanta paginette, si legge in un’ora. Per gli aspiranti scrittori meno abbienti che buttano i soldi nelle scuole di scrittura creativa: costa solo 10,90 euro. Per i più svegli: sono poche parole ma di una saggezza necessaria (sull’arte della scrittura con qualche liminare, intuitivo suggerimento sulla vita tout court). Divertenti peraltro; o lievemente drammatiche. 
Il giovin scrittore povero in canna che passa il tempo leggendo ovunque e qualsiasi cosa purché modaiola e preferibilmente su facebook senza mai avvicinarsi davvero a un qualche punto essenziale della scrittura – ecco, questo umano votato alla disperazione pigra dei nostri giorni legga i tre raccontini e i due articoli dell’autore di Winesburg, Ohio, sparsi qua e là fra il 1927 e il 1940: corre il rischio di andarsene a dormire con un senso di pienezza sconosciuto. Forse si sentirà meno figo del sodale che esce da certe scuole di scrittura creativa nostrane ottime per rimorchiare e morta lì, ma avrà avuto modo, prima di un qualsiasi repertorio di dritte tecniche, di farsi un idea su piccole cose di dubbio gusto come la felicità, l’opportunità o meno per uno scrittore di farsi una famiglia, il tormento che può procurare l’ambizione frustrata dell’artista che per scarso talento o fortuna o determinazione non ce la farà mai.
Nel racconto eponimo, 'Il romanzo perduto', il giovane non ancora TQ quindi dal futuro assai incerto, scoprirà che v’è una fragilità si direbbe ontologica dello scrivere, si tratti di un autore non sicurissimo di esserlo, si tratti dello scrittore di valore: all’arte dello scrivere resta sempre “un qualcosa” che qualsiasi romanziere sa potrebbe non raggiungere mai. Scoprirà che una famiglia potrebbe essere un problema, per uno scrittore, perché la scrittura ha bisogno di solitudine; che talvolta uno scrittore può persino voler bene ai propri figlioli rischiando però di restare intimamente lontano da loro salvo poi pentirsene e scrivere proprio del dramma che egli stesso ha creato. Nel secondo racconto, constaterà che purtroppo gli scrittori della domenica esistono, non solo perché improvvisati e velleitari, ma perché si è poveri disgraziati da chop-suey: che i bisogni e le asprezze della vita materiale possono troncare sul nascere un talento privo di sufficienti possibilità. Può scoprire – lezione che per il giovane aspirante prima arriva meglio è - che un artista può esser mosso da una nobile ambizione (il pittore tedesco del racconto vorrebbe solo restituire la bellezza della campagna americana: “nel granturco che cresceva stava la vera poesia americana”) ma non esserne all’altezza: e lì lo scacco può far molto male. 
Peraltro, lo scrittore bello e fatto – ma questo il nostro giovane aspirante ha avuto modo di scoprirlo frequentando i corsi di cui sopra, o gli innumerevoli festival che risparmiano la fatica della lettura, o imbucandosi nei party delle case editrici – è spesso un tipo da avvicinare tenendo a mente un piccolo ma indispensabile galateo: non gli parlate di denaro, a uno scrittore: si secca, si angustia. Non complimentatevi con lui nella stessa occasione in cui blandite la vanità di un altro. Ricordate che è un ipersensibile: non gli domandate quali sono gli scrittori più grandi (Anderson parlava da americano agli americani riferendosi a scrittoti americani – trasferite tutto in Italia…). Ditegli che non capite tutto ciò che scrive ma che avete la netta sensazione che nei suoi libri vi siano una potenza, una bellezza rara… 
Tutto questo il giovin scrittore, l’aspirante, ma anche i TQ volendo, e qualche lettore più attempato, possono apprenderlo godendosi pochi tocchi calibrati a mestiere, è il caso di dire, e un tono sapiente, che non lascia trasparire il minimo sforzo artigianale: Anderson davvero ci consegna una lezione di stile da rileggersi ogni tanto per capire di cosa parliamo quando parliamo di scrittura e di scrittori. Per esempio (si leggano gli 'Appunti sul realismo') che letteratura e giornalismo sono due cose diverse, che la prima non è mera cronaca o rappresentazione della realtà (nessuno sa cosa sia la realtà, ribadisce il narratore americano) ma fuoco dell’immaginazione. E che se la vita di uno scrittore è dura, l’esercizio rigoroso cui è sottoposta può anche essere la sua salvezza. Perché consiste, essenzialmente, in un modo di cambiare segno (senso?) a ciò che gli accade. Ne deriva che la tecnica è un fatto esistenziale – ma questo l’aspirante dovrebbe già saperlo, a meno di non tenere le proprie ambizioni nel posto sbagliato.

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