5 ago 2011

Christos Tsiolkas - Lo schiaffo - Neri Pozza


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Autore: 
Tsiolkas Christos
Temi storie nuclei sociali ed esistenziali che sono al centro della vita d’Occidente, quella che si vuole più aggiornata, meno chiusa in se stessa, interculturale più per necessità che per convinzione – nello specifico, Melbourne, Australia: nativi da più generazioni pochi, immigrati o loro figli - molti, dimentichi delle origini ma ignari del futuro, come tutti: dall’India, dalla Grecia, dalla Serbia, e persino aborigeni convertiti all’Islam. Fra le pastoie del politically correct e l’imbecillità new age, il disorientamento della cultura liberal progressista giunge al capitolo finale in cui veleni e bubboni e recriminazioni tra amici, familiari, mogli e mariti e amanti esplodono e crollano tutt’assieme. Ne Lo Schiaffo che dà il titolo al sapido romanzo di Christos Tsiolkas (bella traduzione di Marco Rossari), schiaffo dato da un uomo che non è il massimo dell’eleganza ma non è nemmeno un tamarro peggiore della media, a un bambino di tre anni straordinariamente insopportabile, che ciuccia ancora dalle tette materne e viene trattato con tutti i crismi di una maternità new age puerile, inconsistente e perciò potenzialmente – classico caso da eterogenesi dei fini  - fascista (destinata cioè nel suo anarchismo velleitario a crescere figli che saranno del tutto ineducati alle regole del vivere comune, insomma un caso da manuale del come si fabbrica inconsapevolmente un fascista in casa) – in quello schiaffo v’è il precipitato della crisi di senso di questi anni.
Non è niente affatto vero come ha scritto qualche recensore nostrano che il titolo è occasionale, e l’episodio marginale nell’economia del libro. Vero proprio il contrario: quello che sarebbe stato fino a trent’anni fa un gesto poco commendevole, violento, brutto quanto si vuole ma non un casus belli da rappresentare al mondo (in forza di tribunali o becere trasmissioni televisive pronte a fabbricare mostri), nel caos impregnato di violenta stupidità che oggi sembra superare i confini di Berlusconia, non pago di essere spropositatamente drammatizzato rispetto al suo peso ‘oggettivo’, diventa emblematico di un mondo collassato, profondamente instupidito, nel quale un’acredine goffa infila i suoi protagonisti in un buco nero senza vie d’uscita - uno per uno. L’aggressiva discordia di questo multiforme specimen sociale, l’incapacità di ridimensionare un gesto certo censurabile ma vissuto come se dalla sua valutazione dipendessero le sorti del mondo, ecco, se da una parte mettono in moto una serie di conseguenze che costruiscono la nerissima commedia del libro, dall’altro rappresentano una spia della crisi filosofica e morale che dilania l’Occidente da Parigi a Melbourne.
Tutto questo non farebbe del romanzo di Tsiolkas un libro da leggere a tutti i costi, se non fosse che la dirompente conflittualità di visioni della vita contrastanti, è raccontata tutta in situazione. Le riflessioni dei personaggi s’insinuano nelle loro azioni senza mai appesantirle – la voce narrante  dà una lezione precisa di cosa voglia dire sparire e far parlare le scene in sé. E queste scene – sorvolando sulle solite parentele attribuite a sproposito con gli immancabili Roth e De Lillo – hanno tutto quello che chiediamo a un buon romanzo: personaggi vivi, carne, sangue e respiro. Ossia messinscena di corpi che si muovono in cerca di un senso nella vita che non trovano ma lo fanno mangiando (lo schiaffo viene mollato in un barbecue nel quale si è commesso il fatale ma inevitabile errore nella società multirazziale di invitare persone troppo diverse fra loro che non sempre riescono a tenere a freno reciproche diffidenze); lo fanno scopando (moltissimo qui, e il sesso, seppure alla fin fine ben poco gioioso, è un motore non di secondo piano nel mettere in circolo piaceri e tormenti e casini dei protagonisti); litigando e mandandosi a quel paese, parecchio, tradendosi, ordendo macchine vendicative smisurate per riparare i torti subiti, come se la vita non fosse altro che il luogo di una battaglia in cui lasciare la pelle il più tardi possibile. Bei dialoghi, ottimo ritmo, senso della scena e tenuta narrativa. Certo, divertente, se non si è troppo sentimentali. 

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