30 gen 2013

“Il compromesso” di Elia Kazan


su flaneri

Qual è il compromesso di cui si parla in questo romanzo fondamentale del ’900 americano, e fondamentale nel senso che può essere letto da chiunque di noi – ben fuori i confini americani – come qualcosa che ci riguarda da vicino?

Il compromesso in realtà – e sul mero piano dei fatti – è duplice. Il primo è banale: fra una moglie devota e un’amante che ti manda fuori di testa. L’altro lo è un po’ meno se preso alla lettera dei due mestieri in ballo, ma in fondo abbastanza diffuso se visto nel suo significato generale: professione di pubblicitario che vende menzogne da una parte e giornalista duro e puro che si scaglia contro l’ipocrisia del mondo borghese che è l’orizzonte poco immaginifico di quella pubblicità dall’altra.
Elia Kazan quanto a doppiezza non aveva forse molto da imparare da nessuno. Le sue vicende sono note ma questo non dovrebbe impedirci di sostare davanti a un’opera, sia un romanzo o un film, e leggerla per quel che vale.
Dirò subito allora della stranezza di questo libro. Il compromesso (Mattioli, 2012) raggiunge in certi momenti una cupa profondità da romanzo russo, fa un viaggio vertiginoso nella  grammatica minima di un uomo, grammatica morale e affettiva fatta di pulsioni incontrollabili e totale irresponsabilità verso gli effetti delle proprie azioni. Ma se i dialoghi sono eccellenti, la prosa si avvale spesso di immagini kitsch. La scrittura di Kazan è elementare, a volte sconcerta specie se consideriamo che era un uomo di cinema, più abituato di molti scrittori magari geniali facitori di frasi ma narrativamente pigri o disinteressati all’azione; e invece stupiscono certi passaggi fallimentari, specie nelle scene di sesso (affare centrale nel romanzo) il cui climax si risolve in illeggibili frasi smielate. Che riferiscono e non mostrano. In un romanzo in cui anche il pensiero è azione, e in cui, come in Pavese, vien detto che l’organo sessuale maschile è quanto di più onesto esista in natura visto che non può mentire (non c’era il Viagra), ci troviamo di fronte atti sessuali, in cui i protagonisti si «ritrovano in paradiso»: e morta lì. Succede in tutto il libro.
Resta che Kazan scrisse un romanzo di ammirevole forza, capace di andare al fondo di una vita umana per mostrarne tutta la miseria e meschinità; una vita in cui anche l’eventuale successo (amoroso, professionale, economico) a un certo punto appare solo uno spettacolo per renderla tollerabile. Il narratore lo sa: «Il successo dovrebbe fornire una certa difesa contro gli spettri o l’inconscio o qualunque altra cosa fosse. È il minimo che ci si, dovrebbe aspettare dal successo. O dal denaro. E invece non è così, per nessuno dei due».
Se per Henry Miller «c’è un uomo qui dentro», aggiungerei che c’è in una maniera talmente intima che a tratti è quasi intollerabile («Non scrivo per divertire, ma per disturbare» dice il regista del Fronte del porto: e si può dire che vi riesca assai bene). C’è al fondo una debolezza catastrofica in quest’uomo abituato a usare gli altri per raggiungere i propri scopi che deriva da una legge difficilmente revocabile: l’essere determinati dalle nostre stesse azioni. L’impossibilità di sfuggire alle trappole che noi stessi ci costruiamo per sfuggire ad altre gabbie.
Dura da accettare, ma c’è molta più verità ne Il compromesso della spia Elia Kazan, collaboratore della peggiore America reazionaria, che nel sogno on the road di alcuni scrittori che ci metterebbero più a nostro agio. Uno così magari non era uomo di cui l’umanità possa andar fiera; è probabile (è di sé che parla Kazan, inutile aggiungerlo). Ma l’artista, solo un uomo – un lettore – disonesto potrebbe non riconoscerlo. A questi tempi di feroce potenza del denaro i più credono di poter opporre la melassa sentimentale delle buone intenzioni – ma l’arte è un’altra cosa. Lasciate perdere la commissione McCarthy e leggete questo romanzo, con tutti i suoi difetti. E ditemi se non è molto più duro e sincero non solo di Kerouac, ma del 99% di autofiction prodotta in Europa e nelle Americhe in questi anni.

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